depressione violenza

In alcuni casi vengono accorpati, in altri chiusi per lavori ma non vengono più riaperti. Molti risultano ancora attivi, ma sono stati privati di servizi, spazi e personale

Figli dei movimenti femministi, poi sottratti con fatica al mondo cattolico e a una casta medica prettamente maschile, in quasi 50 anni di storia i consultori familiari si sono affermati come presidi sanitari e sociali, essenziali per il benessere dell’individuo, donne e adolescenti al primo posto. Da anni però, denunciano le attiviste, sono diventati le vittime sacrificali dei tagli al welfare, piegate da investimenti sempre più risicati e marginalizzate nelle riorganizzazioni della sanità territoriale. L’organizzazione regionale del servizio crea poi dei divari e «dato che molte sono governate dal giunte di centrodestra, le direttive nazionali non vengono quasi mai rispettate» commenta Graziella, membro del Coordinamento delle Assemblee delle Donne dei Consultori del Lazio.

Le chiusure e i depotenziamenti
L’ultimo censimento ufficiale risale 2019, quando se ne contavano 1800, circa il 60% in meno dello standard minimo previsto per legge. Ma già dal 2007 si registrava un calo costante, che ha fatto che sì che in dodici anni almeno 300 andassero persi. Tanti continuano ancora a chiudere, come quello di Largo De Benedetti a Milano, la cui sede è andata in vendita a privati, o il «Mi cuerpo es mio» di Catania, il consultorio autogestito sgomberato a pochi giorni dalle manifestazioni del 25 novembre e quasi in contemporanea ai funerali di Giulia Cecchettin. Altri subiscono una lenta erosione: «In alcuni casi vengono chiusi “temporaneamente” per lavori per non essere più riaperti. Molti risultano ancora attivi, ma sono stati privati di servizi, spazi, personale e della loro funzione, che è quella di essere una rete solidale, gratuita, laica e liberamente accessibile a tutte le soggettività» specifica Graziella.

Il consultorio di Roma
Succede a Roma, ad esempio, dove Valentina scopre a una settimana dal parto che l’indirizzo per la sua visita di controllo è cambiato. Sul consultorio di largo delle Sette Chiese, nel cuore del quartiere Garbatella, il primo settembre è comparso un cartello: dal giorno stesso sarebbero stati mantenuti solo i servizi di vaccinazione pediatrica e lo Spazio mamma per le gravidanze. «Ma così non è più un centro per donne», ribatte Valentina, attivista del Collettivo nato in difesa della struttura. Le visite ginecologiche, gli incontri con lo psicologo e lo spazio Giovani sono, tecnicamente, stati accorpati in un consultorio vicino, quello di via dei Lincei. Di fatto, non essendo previsto un aumento delle prestazioni nella seconda sede, si può dire che siano stati semplicemente cancellati.
L’intero Municipio conta però circa 130mila persone e «servirebbero almeno sei consultori per rispettare il rapporto previsto per legge di uno ogni 20mila abitanti — precisa l’attivista –. Questo era un punto di riferimento non solo per Garbatella, ma anche per i quartieri di San Paolo, Ostiense e Marconi, essendo uno dei pochi a garantire l’Ivg (interruzione volontaria di gravidanza)». Sì perché anche nel 14% consultori del Lazio — oltre che nel 44% degli ospedali — , denuncia il Coordinamento, sono presenti obiettori di coscienza. All’origine dello pseudo accorpamento ci sarebbe la necessità di spostare il personale verso una delle tre Case della comunità previste nel Distretto, che il Pnrr finanzia solo nell’edilizia e non nell’organico. Le attiviste temono sia l’inizio di «un’ondata di razionalizzazioni».

A rischio in tutta Italia
Anche nel quartiere popolare di San Giacomo a Trieste c’è un consultorio storico destinato a scomparire. Dei quattro presenti in città, il progetto è di averne due in tutto, nonostante la popolazione di 200mila abitanti ne renderebbe necessari almeno dieci e la riduzione isolerebbe diversi quartieri. Le rassicurazioni della Regione sulla continuità dei servizi non hanno convinto le attiviste di Non una di meno, che il 25 novembre scorso hanno deciso di occupare simbolicamente la struttura. «Chiediamo che si fermi lo smantellamento e che vengano ripristinati i servizi persi negli anni», dice Elena di Nudm.
Come accade in tutta Italia, il personale medico e gli operatori che vanno in pensione non vengono sostituiti. Motivo per cui nei sette consultori presenti nell’area della Locride a Reggio Calabria — tutti a rischio chiusura due anni fa — lavorano otto operatrici in totale. «Lavoro nell’Asp di Cosenza e vorrei un giorno passare in un consultorio, ma mi è stato detto che le energie giovani devono essere usate solo per le sale parto degli ospedali e che nei presidi territoriali deve andare solo chi ha un handicap o gli anziani» denuncia Amalia, un’ostetrica esperta in riabilitazione del pavimento pelvico. «Provo a lottare per i diritti delle donne, ma sono stanca e frustrata – aggiunge –. Non venivamo assistite nè considerate».
La mancanza di personale è anche la ragione che rende impossibile prenotare una visita nell’unico consultorio di Senigallia, ridotto al minimo delle prestazioni. «C’è una sola ginecologa da due anni, che riesce a seguire a malapena le gravidanze», racconta Daniela, che insieme ad altre attiviste ha portato avanti un presidio per salvare il consultorio da una chiusura annunciata. E nella Regione con il numero di medici obiettori più alto d’Italia, le Marche, praticare un’Ivg può rivelarsi quasi impossibile. «Invece di supplire alla mancanza con l’aggiunta di consultori — denuncia Graziella — si disintegra l’offerta».

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