Gli obiettivi di ripristino degli habitat europei (foreste, praterie e zone umide, fiumi, laghi e coralli) costituiscono l’oggetto della proposta approvata dal Parlamento Ue lo scorso 27 febbraio

Gli obiettivi di ripristino degli habitat europei (foreste, praterie e zone umide, fiumi, laghi e coralli) costituiscono l’oggetto della proposta di regolamento sul ripristino della natura approvata dal Parlamento Ue lo scorso 27 febbraio. Tra questi, fino al 2030, hanno priorità quelli della rete Natura 2000.
La parola passa ora al Consiglio europeo e poi alla Gazzetta ufficiale. Poiché oltre l’80% degli habitat europei è in cattivo stato, la proposta stila il cronoprogramma per il ripristino degli habitat in cattive condizioni: almeno il 30% entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050. A tal fine, gli Stati membri devono adottare piani nazionali di ripristino che indichino nel dettaglio come intendono raggiungere gli obiettivi. Il tutto, al fine di centrare gli obiettivi europei in materia di clima e biodiversità e migliorare la sicurezza alimentare.
Gli Stati membri devono garantire che le zone ripristinate non tornino a deteriorarsi in modo significativo. Il regolamento mira a garantire il rispetto degli impegni internazionali assunti dall’Unione europea nell’ambito del quadro globale di Kunming-Montreal per la biodiversità.

Una rete ecologica
«Natura 2000» è una rete ecologica creata per salvaguardare e proteggere la qualità dell’ambiente, compresa la conservazione degli habitat naturali, della flora e della fauna selvatiche. È costituita da aree individuate dagli Stati membri e suddivise in Sic (Siti di interesse comunitario), Zsc (Zone speciali di conservazione) e Zps (Zone di protezione speciale). In tali aree le attività umane possono essere svolte previa specifica autorizzazione.
Secondo i dati forniti dal ministero dell’Ambiente, l’Italia è al tredicesimo posto in Europa per numero di aree comprese in Natura 2000 che proteggono 132 habitat, 90 specie di flora e 114 di fauna.
Il regolamento riporta alcuni indicatori che gli Stati membri devono soddisfare per migliorare la biodiversità negli ecosistemi agricoli: indice delle farfalle comuni; percentuale di superficie agricola con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità; stock di carbonio organico nei terreni minerali coltivati; indice dell’avifauna comune.
La torbiera rappresenta una soluzione tra le meno dispendiose per ridurre le emissioni nel settore agricolo; pertanto, gli Stati membri devono ripristinare almeno il 30% delle torbiere drenate entro il 2030 (riumidificandone almeno un quarto), il 40% entro il 2040 e il 50% entro il 2050 (almeno un terzo riumidificato). La riumidificazione rimane volontaria per agricoltori e proprietari privati di terreni.

Quando le regole possono essere sospese
Tuttavia, in circostanze eccezionali, la Commissione Ue si riserva il potere di sospensione temporanea degli obiettivi per gli ecosistemi agricoli ove questi riducano la superficie coltivata compromettendo la produzione alimentare, tanto da renderla inadeguata ai consumi della Unione europea.
Sul fronte forestale, la proposta di regolamento impone di migliorare gli indicatori per i relativi ecosistemi e di piantare tre miliardi di alberi.
Gli Stati membri devono poi ripristinare almeno 25mila chilometri di fiumi, trasformandoli in fiumi a scorrimento libero, e garantire che non vi sia alcuna perdita netta né della superficie nazionale totale degli spazi verdi urbani, né di copertura arborea umana.
La prima direttiva “habitat” 92/43/Ce, destinata a essere abrogata dal nuovo regolamento in corsa, è stata recepita in Italia con il Dpr 357/1997.ùÈ opportuno sottolineare che l’articolo 300, comma 1, del Dlgs 152/2006 (il cosiddetto Codice ambientale) individua il deterioramento degli habitat come costitutivo del danno ambientale, definito come «qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima».
La distruzione o il deterioramento di un habitat all’interno di un sito protetto – reato previsto e punito dall’articolo 733-bis del Codice penale – è tra l’altro il presupposto della responsabilità amministrativa degli enti in dipendenza da reato, come disciplinata dal Dlgs 231/2001 (sanzione pecuniaria da 150 a 250 quote).

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