Si scopre che nemmeno la Cgil credeva che il quorum fosse un risultato raggiungibile, e allora perché questo azzardo? Forse una sfida politica all’interno del campo largo? Chi è andato a votare avrebbe meritato un tasso di sincerità maggiore

I cittadini che hanno scelto di andare alle urne hanno compiuto un loro dovere civico. E vanno ringraziati. Gli astenuti sono stati in maggioranza. Hanno esercitato un’altra scelta, del tutto legittima. Gli sconfitti faticano ad ammettere di aver perso e cercano varie attenuanti.
La consuetudine è confermata. C’è la corsa a intestarsi quella massa di volenterosi votanti come fosse una proprietà esclusiva. Qualcosa di analogo avviene, sul versante della maggioranza per quella, ben più corposa, che si è astenuta. Anche in questi casi la consuetudine è rispettata.
Si torna a discutere sulla possibilità di ridurre o addirittura cancellare il quorum, alzando magari il numero di firme necessarie per avviare una consultazione. Come nota giustamente Antonio Polito si tende addirittura a dimenticare che una legge votata dal Parlamento (che rappresenta tutti) non potrebbe essere abrogata da una minoranza referendaria, per quanto attiva.
Ora si scopre che tra i promotori dei quesiti, nemmeno la Cgil, che ne ha proposti quattro, riteneva il quorum un risultato raggiungibile. E allora perché questo azzardo? Per una sfida tutta politica all’interno del cosiddetto campo largo? E così facendo non si rischia di annacquare il valore costituzione di un grande strumento di democrazia diretta? I quattordici milioni di votanti avrebbero meritato un tasso di sincerità maggiore. Ora meritano almeno qualche scusa.
P.s. Se al posto di Maurizio Landini ci fosse Bruno Trentin si sarebbe già dimesso. Peccato che la Cgil non abbia rivisto la storia del fallito referendum sulla scala mobile, voluto dal Pci di Enrico Berlinguer (che voleva far cadere così il governo Craxi) esattamente quarant’anni fa. Il predecessore di Landini, Luciano Lama qualche dubbio lo aveva. Temeva, e lo disse in una intervista a Giampaolo Pansa sulla Repubblica, un «bagno di sangue», con conseguenza incalcolabili sull’unità sindacale e della sinistra.

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