Il lato debole della democrazia: i germi del totalitarismo, l’eterna lotta con l’autocrazia

Il presidente Trump ordina la deportazione degli immigrati, limita la libertà della ricerca, licenzia dipendenti pubblici, ordina e minaccia interventi militari, oscilla continuamente tra annunci e ritrattazioni, tutto questo senza espresse autorizzazioni parlamentari.

È la prima volta che accade nella bicentenaria storia della democrazia americana? Si può dire che siamo in presenza di una torsione autoritaria o che riprendono vigore i germi di totalitarismo insiti in quella democrazia?
Considerato che l’America ha insegnato la democrazia al mondo, dobbiamo preoccuparci che le democrazie possano fare salti indietro?
Non è la prima volta che la democrazia americana sperimenta eclissi di questo genere. La Costituzione americana assegna al Parlamento il compito di dichiarare guerra e autorizzare l’uso della forza militare, e al presidente quello di agire come comandante capo. Ma fin dalla presidenza Truman (1945-1953) l’esercizio dei poteri di guerra è stato diverso, perché molti presidenti hanno deciso il ricorso alle forze armate senza preventiva autorizzazione parlamentare. Da allora i conflitti tra i due poteri, quello legislativo e quello esecutivo, sono stati numerosi e molti i progetti di riforma per impedire l’uso unilaterale del potere militare da parte del presidente.

Poi, sempre dalla metà del secolo scorso, ad opera di un influente senatore, Joseph McCarthy (1908-1957), furono messe sotto accusa attività dette antiamericane, creando un clima isterico, ponendo sotto sorveglianza persone come Einstein e Pauling, giungendo fino alla messa a morte dei coniugi Rosenberg. Un grande intellettuale italiano, Giuseppe Antonio Borgese, che viveva da venti anni negli Stati Uniti, in un articolo pubblicato l’11 novembre 1950 sul «Corriere della Sera», osservò che questo metteva in dubbio la «costanza delle istituzioni repubblicane e liberali americane»; e definì «intrinsecamente totalitaria» la legge McCarran, l’«Internal Security Act», uno degli strumenti di quello che venne definito maccartismo. In una lettera scritta il 25 gennaio 1951 a Vittorio Emanuele Orlando, Borgese chiamava questo corso della politica americana «American dementia» e ne criticava la «sovraeccitazione nazionalista e divisiva» (dobbiamo alla illuminata opera della Fondazione Borgese e alla cura di Giovanni di Stefano se il ricco carteggio, durato quasi mezzo secolo, tra Borgese e Orlando sia stato recentemente pubblicato con il titolo «Un’affettuosa telepatia»).

Se si va indietro, nella storia americana, si trova ancora qualcosa di simile: Andrew Jackson, che fu presidente dal 1829 al 1837, ordinò la deportazione e l’annientamento dei nativi indiani (considerato uno dei peggiori crimini della storia americana), sostenne lo «spoils system», e si temeva che volesse stabilire una dittatura e limitare le libertà locali. Questo accadeva proprio negli anni in cui un francese ventiseienne, Alexis de Tocqueville, visitava l’America, incontrando tra gli altri proprio Jackson, da lui considerato più autoritario che forte, più ambiguo che intelligente, con tutti i difetti del militare prestato alla politica, pronto a ridurre le libertà democratiche. Ciò nonostante, quel giovane dall’esame degli Stati Uniti di quell’epoca trasse un libro, «De la Démocratie en Amérique» che diventò il modello della democrazia nel mondo.

Che cosa ci insegnano questi corsi e ricorsi? Che la lotta tra democrazia e autocrazia non finisce mai. Che anche le democrazie possono avere al loro interno germi di autoritarismo. Che anche le democrazie hanno cicli e involuzioni. Che, tuttavia, si può essere ottimisti in quanto proprio la storia americana mostra che, dopo l’esperienza del presidente Jackson nell’‘800 e del maccartismo nel ‘900, in un breve volgere di anni, la democrazia ha ripreso quota. Che, infine, bisogna stare attenti agli elementi che possono produrre erosioni o retrocessioni della democrazia. Su questo tema è appena uscito un libro intitolato Global challenges to democracy. Comparative Perspectives on Backsliding, Autocracy and Resilience, edito dalla Cambridge University Press, in cui molti studiosi si sono interrogati sui segni di debolezza della democrazia. Gli autori di questo libro elencano, tra gli altri, la politicizzazione del pubblico impiego, il tradimento delle promesse fatte dalla politica agli elettorati, la manipolazione delle leggi elettorali e dei relativi processi.
Ci siamo, insomma, illusi che le democrazie non abbiano dentro di sé sacche di totalitarismo, senza ascoltare l’avvertimento del giovane Tocqueville che, già nel 1835, nel libro che scrisse dopo il suo viaggio, notò le possibili derive dalla democrazia verso il dispotismo.

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