Un mese fa l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, segnale evidente della deriva autoritaria del Presidente Erdogan. Preoccupa il silenzio della comunità internazionale

Caro Direttore, è trascorso un mese dall’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, segnale evidente della deriva autoritaria del Presidente Erdogan contro ogni opposizione. Da allora le proteste non si sono fermate. Tra queste, la grande manifestazione di Maltepe a Istanbul, alla quale ho preso parte come delegato del Partito Socialista Europeo. La protesta è trasversale: giovani, famiglie, lavoratori, anziani, e tutte le principali formazioni politiche, dai kemalisti alla sinistra, marciano unite sotto lo slogan «diritto, legge, giustizia». Proprio nei giorni scorsi si è aperto il processo a circa 100 dei manifestanti arrestati, tra cui otto giornalisti. Imamoglu, il candidato più temuto da Erdogan, è stato anche privato del titolo di laurea, necessario per la candidatura. È apparso una sola volta di fronte ai giudici nel carcere di massima sicurezza di Sliviri, dove alla nostra delegazione è stata negata la visita. Il suo staff mi riferisce che è in buone condizioni e fiducioso nella mobilitazione popolare.
Una svolta in Turchia non è impossibile. Accanto all’opposizione del CHP, è il popolo turco a guidare la reazione: continua il boicottaggio dei prodotti vicini al governo e cresce il dissenso nonostante la repressione. La stampa è quasi del tutto silenziata, e il governo non rilascia notizie sulle centinaia di persone ancora detenute, tra cui avvocati e artisti. L’economia è in crisi: investitori in fuga, lira in caduta libera. Anche questo contribuisce a indebolire Erdogan. La posta in gioco va oltre. C’è in gioco il futuro democratico di un paese strategico per la NATO e cruciale per la stabilità del Mediterraneo e per la questione migratoria che riguarda l’Europa.
Preoccupa, però, il silenzio della comunità internazionale. Nessuna condanna chiara dagli Usa di Trump, né dal Governo Meloni che, dopo la visita del Ministro Crosetto ad Ankara, ha confermato un vertice bilaterale con la Turchia a Roma. In quella sede l’Italia non potrà tacere di fronte a un paese che resta ufficialmente candidato all’ingresso nell’Ue. Ma è l’assenza di una voce forte dell’Europa a deludere. Non basta la cancellazione delle missioni della Commissione o il dibattito del Parlamento Europeo senza risoluzioni. Serve un’azione chiara, politica ed economica. Perché il futuro democratico della Turchia riguarda anche noi.

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