9 Settembre 2025
computer scuola

Gen AI è definitivamente tra noi e l’apprendimento non sarà più come prima. L’insegnamento forse sì

Ci siamo. Per chi andrà in aula a settembre, siamo alle soglie del D-day. Che sia scuola media, scuola media superiore o università, una cosa è certa: Gen AI è definitivamente tra noi e l’apprendimento non sarà più come prima. L’insegnamento forse sì. Ma qui appunto sta il problema.
La GenAI rappresenta una vera disruption per il processo di condivisione della conoscenza e quindi per la formazione delle competenze dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze. C’è chi fa analogie con l’avvento delle prime calcolatrici e dei primi computer. Certo una volta i calcoli si facevano dettagliatamente a mente o scrivendo su un foglio. Certo si rifletteva attentamente prima di scrivere una frase su un quaderno o una macchina da scrivere, che in caso di errore richiedeva complessi stratagemmi per poter essere cancellata. Ma con ChatGPT e i suoi gemelli il gioco cambia sostanzialmente di livello. Lo stiamo tutti sperimentando nei motori di ricerca che sono diventati non solo più precisi a fornirci risposte a domande su richieste più o meno specifiche. Le allucinazioni a furia dei training miliardari delle Big Tech vanno a scemare e l’assistenza che ci forniscono diventa effettiva.
Quindi il vero tema è: facciamo finta di niente oppure lo tiriamo in gioco ufficialmente? Ad esempio, molti compiti che si fanno svolgere nelle scuole medie e medie superiori sono basati su temi, per non parlare dei lavori di tesi delle lauree triennali e biennali. Aspettiamo che qualche studente faccia notare che il genio è uscito dalla lampada? Post-Covid ci siamo abituati ad avere un’aula a cavallo tra fisico e virtuale. Non nel senso che gli studenti fanno lezione on line, perché oramai nelle scuole e nelle università che contano vige la presenza.
Ma nel senso che i volti degli studenti tra i banchi sono malcelati dietro un lenzuolo di pc e smartphone. La scuola ne vieta giustamente la presenza in aula, ma poi ci sono esercitazioni che richiedono i tablet e in università anche se a volte non sono consentiti i telefonini sono sempre nelle tasche. E più grande è l’aula dove si insegna più si vede uno stuolo di device. Omnichannel si chiama nel mondo industriale questo nuovo stato del mondo, che, volenti o nolenti, è anche quello che oramai caratterizza il settore della formazione e che sempre di più in futuro rappresenterà lo stato delle cose. Se fino a poco fa quando si scriveva un’equazione un po’ complessa sulla lavagna o si citava una data più insidiosa, si era sottoposti all’immediato fact-checking via smart device con rischio di figuraccia non da poco per aver dimenticato un lambda o per aver sbagliato il giorno. Ora andiamo oltre: siamo di fronte alla presenza di un assistente virtuale potente. Mica l’aiuto da casa dei pacchi in TV – friends and family ne sanno infinitamente meno di Gemini.
Che fare dicevamo? Innovare, ad esempio. Questo ci insegna la storia economica di fronte ai cambiamenti epocali. Cambiare i nostri comportamenti per renderli più coerenti con il nuovo contesto. Innovare la lezione. Innovare la valutazione. Innovare gli incentivi. Anzitutto, cambiare la logica e la dinamica della lezione.
I libri di oggi sono straordinariamente ricchi di link e approfondimenti video — ben differenti da quelli della generazione dei boomer che andava in aula per capire dalla bocca del prof di cosa si stesse parlando in quanto i libri erano ermetici nel linguaggio e nelle poche rappresentazioni grafiche. Poi appunto abbiamo la GenAI nei motori di ricerca che fa da Chatbot virtuale. Occorre andare in aula non con l’idea di fare lo spiegone per dirla alla Propaganda Live. Ma facendo fare una porzione del lavoro «a casa» e puntare ad approfondimenti su aspetti meno evidenti e chiari della lezione. Sfidare gli studenti su quello che autonomamente hanno capito e non capito di quello che hanno letto per intanto testare anche quanto si sono «affidati» alle informazioni e quanto le hanno interpretate e assimilate adeguatamente.
Poi, cambiare il metodo di valutazione. C’è chi propone un ritorno agli esami orali per testare l’effettiva conoscenza. Corretto, anche se spesso poco praticabile per i grandi numeri e i bias cognitivi che la pedagogia moderna ha dimostrato esistere nelle interrogazioni orali individuali. Forse una maggiore interazione collettiva oltreché individuale con qualche domanda «a freddo» durante le lezioni di cui si parlava prima può di per sé aiutare a garantire una valutazione più continuativa durante il corso e quindi più idonea nel percorso di apprendimento.
Infine, la cosa più complessa perché richiede un cambio del sistema di incentivi. Ma ha senso tutto questo tempo in aula? O forse sarebbe meglio a questo punto spaccare l’aula in tanti piccoli momenti di condivisione per puntare alla personalizzazione del processo di apprendimento? Il processo educativo di massa punta alla media degli studenti esattamente come le pillole che prendiamo quando abbiamo l’influenza, che sono testate sulla media dei pazienti. Ma AI e digitale ci aiutano non solo a personalizzare i servizi di Amazon e di Netflix, ci aiutano a personalizzare tutti i prodotti e servizi come anche il paradigma della medicina preventiva e personalizzata sta cercando in questi anni di fare. Perché non puntare anche a un cambio di paradigma nella formazione? AI e digitale ci aiutano non a cercare di alzare verso la media i meno bravi e i più deboli — e come risultato abbassare alla media i più bravi e più dotati. Ma ci aiuta potenzialmente ad alzare l’asticella di tutti.
Impiegheremo parecchio tempo a raggiungere questo obiettivo, del resto toccare istituzioni consolidate nel tempo richiede riflessioni, dibattiti e coraggio nelle decisioni. Ma avere almeno chiaro il punto di atterraggio, può aiutare a capire il percorso e impostare adeguatamente il viaggio da fare.

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