12 Dicembre 2024
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Il ritorno a scuola: c’è un’intera generazione che ormai parla una lingua indecifrabile e vive altrove anche se abita in casa

Zitta zitta è ricominciata la scuola. Come ogni anno? Quasi. La continuità con il recente passato è garantita dall’endemica mancanza di personale (i supplenti al via sarebbero 250 mila secondo i sindacati, 165.000 secondo il ministro) e dall’assenza di un piano per rafforzare insegnanti di sostegno e docenti di italiano per alunni stranieri che l’italiano non lo sanno. La scuola boccheggia da tempo immemore e continuerà a boccheggiare, come se non fosse l’emergenza nazionale che è. E questo in perfetta continuità con i governi precedenti, nonostante i fondi previsti dal Pnrr, però in perenne attesa di concorsi e decreti attuativi.
In compenso, sono cambiate le linee guida, secondo le disposizioni del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, che ha voluto incardinare il nuovo corso di studi su alcuni concetti chiave, più connessi al merito che all’istruzione: Patria (con la p molto maiuscola), impresa, proprietà privata, con l’aggiunta in extremis dell’educazione civica. Il Comitato tecnico del ministero ha sottolineato in matita blu la mancanza di riferimenti alla dimensione sociale dell’insegnamento e alla lotta contro la violenza di genere. Tutti rilievi accolti con deferente inchino e bellamente archiviati. Come i tre pilastri proposti dal predecessore, Patrizio Bianchi, governo Draghi, membro dell’Accademia dei Lincei: Costituzione, sostenibilità ambientale, cittadinanza digitale. Temi più in sintonia con lo spirito del tempo ma rimasti sulla carta. Valditara batte altre strade, con qualche eco da libro Cuore. Per esempio, forte pressione per tornare a usare il diario, e scritto a penna, come i compiti a casa. Più il divieto tassativo all’uso di smartphone nelle elementari e alle medie, misura quest’ultima che si sta tentando anche in altri Paesi, Gran Bretagna in testa: di certo lodevole lo scopo, lecito dubitare del risultato. Basteranno mattine a tolleranza zero per disintossicare studenti che verso il cellulare hanno sviluppato una dipendenza di massa e precoce?
Parlare di scuola di destra o di sinistra, se sia più importante il concetto di Patria o di Costituzione, è come disquisire sulla piega dei centrini da tè sul ponte del Titanic, mentre l’iceberg sta squarciando la nave. C’è un’intera generazione che ormai parla un’altra lingua, si incontra o si scontra attraverso canali e codici indecifrabili, che vive altrove anche se abita in casa. E manifesta un disagio palpabile e crescente, senza nome, senza cura, senza sbocchi. Farsi del male o fare del male diventano gli antidoti estremi alla perdita di senso e di qualsiasi prospettiva risvegliante di futuro.
La generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli, in uscita per Rizzoli e anticipato su queste pagine da Walter Veltroni, lo psicologo americano Jonathan Haidt stila un’allarmante diagnosi sugli effetti trascurati dell’iperconnesione al cellulare: riduzione drastica del tempo riservato al gioco come momento di contatto personale; calo a picco della capacità di concentrarsi; peggioramento del sonno; progressivo sviluppo di una dipendenza come quella da slot machine, alcol o stupefacenti. Ma non è soltanto questa pandemia di disconnessione dalla realtà reale, sostituita da quella virtuale, a rendere fragilissima la leva di una gioventù accartocciata su sé stessa. Una ragazza di 16 anni ha detto al padre: «Prima il Covid, adesso una guerra vicina e poi ancora un’altra. Quello che stiamo provando noi negli ultimi anni, voi ve lo siete risparmiato da quando siete nati». Noi adulti siamo cresciuti con dei sogni. Loro, con degli incubi.<
La scuola non può da sola arginare questo male di vivere, e di dissipazione dei desideri, che coinvolge chi, per anagrafe, è destinato a ereditare il mondo. Ma è colpa grave trascurare l’impatto di questo iceberg, concentrando gli sforzi sulle tazzine da tè, offrendo come via di salvezza richiami retorici all’orgoglio di nazione o al successo come meta di una crescita. Il fatto che il «bonus psicologo» verrà (forse) confermato è (sarebbe) cosa buona e utile. Che passi dai 25 milioni di euro del 2022 ai 10 messi a bilancio, con 400 mila richieste da evadere, è un po’ meno che niente: significherebbe 25 euro a testa, neanche la metà del costo di una sola seduta.
Don Milani, priore di Barbiana, morto a 44 anni dopo aver compiuto il miracolo di seminare l’amore per il sapere in un gruppo di ragazzini perduti del Mugello, scriveva: «Cari professori, vi paghiamo perché ci dovete insegnare a vivere, non per bocciarci, soprattutto noi, che siamo gli ultimi».Il problema, l’iceberg, è che adesso gli ultimi, cari professori e caro ministro, sono tanti. E l’impressione è che aumenteranno. Non tocca solo a voi, ma tocca anche a voi.

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