Giorgiana Notarbartolo (Patriotic Millionaires): «Tassateci di più». Lo stilista Philipp Plein: «Imposte inique oltre il 30%»
Un solco profondo divide gli italiani quando si discute se tassare gli ultraricchi. Una parte è convinta che sia doveroso farlo perché sostiene che l’aumento delle diseguaglianze stia mettendo in crisi le democrazie. Altri si oppongono decisamente perché affermano che le tasse sono già troppo alte e un aumento per i più ricchi frenerebbe gli investimenti e la crescita. Chi ha ragione?
Per rispondere a questa domanda si può partire da Milano. Il complesso di Citylife è il paradiso dei ricchi. Un tempo qui sorgeva la Fiera campionaria. Oggi ci sono edifici costruiti dai più famosi architetti del mondo, grattacieli, negozi, ristoranti, campi da tennis e un grande parco urbano.
Si entra nel compound e le prime cose che colpiscono sono alcuni edifici dalle forme sinuose, che richiamano l’aspetto delle navi da crociera. Questi appartamenti di lusso sono abitati da manager, banchieri, professionisti, calciatori, influencer e da alcuni dei 4.500 milionari stranieri arrivati in Italia negli ultimi anni e attratti dalla flat tax che consente di pagare un’imposta fissa annuale di 200mila euro su tutti i loro redditi di fonte estera. Redditi che a volte derivano da patrimoni che valgono diversi miliardi di euro. Milano è la terza città europea per numero di milionari: ce ne sono 115mila. E i miliardari sono 17.
Che gli ultraricchi paghino in proporzione meno imposte dei comuni cittadini lo dimostrano alcuni studi realizzati da economisti di diverse nazionalità. Questa situazione paradossale si verifica perché i guadagni degli ultraricchi derivano quasi esclusivamente dalla vendita di azioni o dall’incasso di dividendi, quelli che si chiamano redditi da capitale. Ma questi guadagni vengono tassati molto meno dei redditi generati dagli stipendi dei cittadini meno abbienti, che sono quasi sempre redditi da lavoro.
Il risultato è che le imposte finiscono per essere regressive, e non più proporzionali, quando riguardano l’1% più ricco della popolazione. Invece di aumentare, diminuiscono. E il trend raggiunge il massimo tra lo 0,1% dei contribuenti, quelli infinitamente più ricchi.
«Personalmente trovo assurdo che chi, come me, ha modo di contribuire di più, non contribuisca neanche in modo equo al benessere collettivo», spiega Giorgiana Notarbartolo di Villarosa, che fa parte della famiglia Marzotto e amministra il patrimonio ereditato dai suoi avi.
Giorgiana Notarbartolo aderisce ai Patriotic Millionaires, i milionari patriottici, un movimento globale che riunisce quasi 400 ultraricchi di tutto il mondo e che chiede una tassazione più equa attraverso un aumento delle tasse per i più abbienti. Il loro slogan è: Tax the Rich, tassate i ricchi.
Durante l’ultimo forum di Davos, più di 370 miliardari e milionari di 22 Paesi hanno firmato una lettera aperta in cui chiedevano di mettere un freno all’enorme concentrazione di ricchezza che compromette le democrazie e la coesione sociale.
«La diseguaglianza è il tema che mi sta più a cuore – aggiunge Giorgiana Notarbartolo – ed è forse proprio perché sono al centro di queste disuguaglianze che mi sta così a cuore. Organizzazioni come i Patriotic Millionaires usano la voce di milionari e miliardari per promuovere presso i governi e le organizzazioni un sistema di tasse più equo. L’anno scorso la richiesta era di una tassa del 2% per individui con un patrimonio netto superiore ai dieci milioni di dollari Quest’anno stiamo portando avanti un progetto per definire una linea sulla ricchezza estrema, perché non si può cambiare quello che non si nomina e non si misura. E come c’è una linea per la povertà assoluta, crediamo ci debba essere una linea per la ricchezza estrema».
Sarebbe corretto fissare questa linea per tassare con una piccola percentuale gli ultraricchi? E se la risposta è sì, chi dovrebbe fissare questa linea? E quei soldi dove andrebbero? Come verrebbero spesi? Difficile rispondere a queste domande. Anche perché bisogna prima comprendere cosa è accaduto in questi anni nei nostri paesi.
Le diseguaglianze
Misha Maslennikov è un matematico ed econometrista. Lavora come policy advisor nell’organizzazione non governativa Oxfam Italia e i dati che ha sottomano raccontano di un mondo in cui le diseguaglianze aumentano costantemente. «Negli ultimi quattro decenni – racconta Maslennikov – si è assistito a un forte aumento delle disuguaglianze economiche in tante economie avanzate. Anche in Italia la quota del reddito nazionale detenuta dallo 0,1% dei cittadini più ricchi è più che raddoppiata tra il 1980 e il 2020, passando dall’1,5% al 5,3%. Analogamente, si è registrata anche una crescente concentrazione dei patrimoni. Se guardiamo al vertice della piramide sociale lo 0,1% più facoltoso degli italiani, circa 50mila individui, possiede il 9% della ricchezza netta nazionale. Venticinque anni fa ne possedeva meno del 4%».
Eppure, non tutti sono d’accordo con questi dati. Nicola Rossi, economista dell’Istituto Bruno Leoni, un centro studi fondato nel 2003 per promuovere la tradizione del pensiero liberale in Italia, contesta che le diseguaglianze siano in crescita e dunque contesta alla base le motivazioni del manifesto dei Patriotic Millionaires.
«Sono andato a riguardare i dati sulla distribuzione del reddito in Italia negli ultimi vent’anni – esordisce l’economista -. L’indice di Gini, che è la cosa a cui solitamente guardiamo quando vogliamo fare analisi di questo genere, era lo 0,33 nel 2003, è salito a 0,34 nel 2017-2018 e oggi è allo 0,32 Abbiamo un problema di redistribuzione così palese? È successo questo terremoto che mi sento raccontare mattina, mezzogiorno e sera in tutte le televisioni? E anche rispetto agli altri paesi europei, siamo esattamente come la Spagna, stiamo un po’ meglio della Grecia, siamo non lontani da quello che si osserva in Germania. Un poco sopra la media europea, certo, ma veramente marginalmente sopra. Dove è accaduto tutto questo disastro distributivo che soprattutto i firmatari nostrani di quel manifesto sembrano prefigurare?»
Imposte eque
Anche i milionari si dividono quando si parla di tasse. Nella zona di Porta Romana, a Milano, c’è lo showroom di Philipp Plein, uno stilista tedesco che vive in Svizzera ma che a Milano ha aperto anche un hotel di lusso con diversi ristoranti in uno storico palazzo nel centro del capoluogo lombardo, dove si pensa che in passato abbia soggiornato Leonardo da Vinci.
Plein non è tra i firmatari del manifesto dei Patriotic Millionaires e ha una visione precisa su quanto le imposte dovrebbero incidere sui guadagni: «Penso che una tassazione tra il 20 e il 30% sia una cifra giusta», afferma. Lo stilista riconosce comunque che le tasse sono importanti. «Viviamo in un sistema sociale che è costruito in parte sulle tasse e le tasse in effetti aiutano il governo, se il governo è un buon governo, a fare cose utili con questi soldi: a sostenere e costruire la nazione, le scuole, creare la sicurezza sociale e così via. Quindi penso che in alcuni paesi ci si senta più patriottici nel pagare le tasse che in altri. Dipende sempre dal governo e da cosa stanno realmente facendo con i tuoi soldi e come stanno gestendo i fondi che ricevono dalle tasse».
Giorgiana Notarbartolo e Philipp Plein sono le due facce di una stessa medaglia. Sebbene siano su fronti opposti, nessuno dei due porta avanti posizioni estremiste o ideologiche. E allora conviene ascoltarli entrambi, per non ridurre il problema della tassazione degli ultraricchi a una discussione da bar. Sia Giorgiana Notarbartolo sia Philipp Plein argomentano le proprie convinzioni cercando di seguire la linea del buon senso.
«Oggi il nostro sistema di tassazione è progressivo, ma solo fino al 95° percentile. Per il 5% il sistema è regressivo. Questo vuol dire che in proporzione noi ricchi paghiamo meno tasse, senza menzionare che i redditi da capitale sono tassati solo al 26% – ragiona Giorgiana Notarbartolo -. Si possono migliorare la trasparenza e l’efficacia della spesa pubblica, ma ricordiamoci che nella grande maggioranza dei casi la creazione dei patrimoni è possibile anche grazie all’ecosistema finanziato dalle tasse che sono pagate da tutti».
Dunque, le tasse pagate da tutti rendono possibile l’accumulazione dei patrimoni e fanno sì che questi beni possano essere tramandati di generazione in generazione, come la ricchezza che Giorgiana Notarbartolo gestisce e che deriva dall’attività imprenditoriale e finanziaria della famiglia Marzotto, che si insediò nel 700 nel Vicentino e nell’800 aprì la prima fabbrica tessile. Insomma, le fortune personali non sono mai soltanto il frutto di abilità individuali ma sono condizionate dal contesto, spiega Giorgiana Notarbartolo. Un concetto, questo, che si tende spesso a dimenticare ma che è in realtà molto importante. Soprattutto se si tiene conto di uno studio di Oxfam, secondo il quale più del 60% degli ultra ricchi in realtà non ha creato un patrimonio ma lo ha ereditato.
Dalla Germania alla Svizzera
Phillip Plein, invece, il patrimonio l’ha costruito da solo, cominciando a disegnare da ragazzo cucce di lusso per cani. Poi il suo estro di stilista l’ha portato a creare le sue linee di abbigliamento e di accessori, a ingrandirsi in tutto il mondo, ad acquistare marchi come il Billionaire e ad aprire ristoranti e hotel di lusso, come quelli di Milano.
«Io vengo dalla Germania – afferma Plein – e in Germania le tasse sono sempre state molto alte. Quindi era diventato uno sport, per molti milionari, non pagare le tasse, o quantomeno cercare di evitarle il più possibile. Non illegalmente, ma per trovare le diverse opportunità per evitare di versarle. Perché in Germania, per un certo reddito, anche se non so come sia oggi perché non ci vivo più da oltre 20 anni, la tassazione era oltre il 50%, una percentuale molto alta. Io penso che le tasse dovrebbero essere fissate in maniera equa. Se devi dare via più della metà di quello che guadagni, è parecchio. Quindi mi sono trasferito in Svizzera per evitare di pagare tasse elevate. L’ho fatto all’inizio, quando ero ancora un giovane imprenditore. Perché avevo la sensazione di lavorare duramente per i miei soldi e che fossero guadagnati legittimamente. Mi sembrava sbagliato dare via più della metà in tasse».
La redistribuzione
Nicola Rossi, dal canto suo, pone sul tavolo un ragionamento che considera alla base di tutto. «Si dà per scontato qualche cosa che scontata non è: l’idea che le imposte siano lo strumento della redistribuzione. Ci sono esempi abbastanza interessanti del fatto che la vera redistribuzione, quella che cambia le vite delle persone, si fa con la spesa. Si fa con l’istruzione, si fa con la sanità. Le imposte devono essere strutturate in maniera tale da massimizzare gli incentivi alla crescita di un sistema. Quindi c’è chiaramente un problema con la strada che abbiamo preso. È chiaro che non vogliamo prendere l’altra, quella che invece userebbe la spesa per redistribuire. Non dobbiamo pensare che la strada che abbiamo scelto sia l’unica possibile».
Il movimento per la tassazione degli ultraricchi ha elaborato alcune proposte per raggiungere una maggiore equità fiscale. La più importante è quella dell’economista francese Gabriel Zucman, che punta a creare una tassa globale minima sul patrimonio dei milionari e dei miliardari. In pratica, non sarebbero i singoli paesi a tassare il loro patrimonio ma ci sarebbe un’imposta mondiale.
Misha Maslennikov è uno dei fautori di questa soluzione. «La proposta avanzata da Zucman di far pagare ai miliardari almeno il 2% del loro patrimonio è un valido punto di partenza – sostiene Maslennikov -. Quanto alle altre proposte nella nostra agenda per l’uguaglianza, quando parliamo di un’imposta di tipo patrimoniale, parliamo di un’imposta che si applicherebbe allo 0,1% dei contribuenti italiani più ricchi, circa 50mila individui adulti. Quindi sfatiamo il mito che si tratta di una proposta che va a intaccare la posizione delle classi medie o medio alte nel nostro paese. Per far parte di questo gruppo bisogna essere titolari di un patrimonio netto di almeno 5,4 milioni di euro. Si può avere benissimo una casa addirittura in centro città, una seconda casa e anche un consistente conto in banca e l’imposta non sarebbe dovuta».
Più sei ricco, meno paghi<
«Quello che vedo è che più sei ricco, meno tasse paghi – aggiunge Plein -. Quindi, anche questa è una cosa che dobbiamo affrontare. La verità è che tutto ha un prezzo: l’infrastruttura che stiamo usando, o a volte anche abusando, costa denaro. Quindi questo deve essere in qualche modo finanziato. Intendo dire che gli ospedali non sono gratis e l’assistenza medica non è gratuita. E lo abbiamo visto anche durante il Covid quanto sia importante avere un buon sistema che possa supportarci quando ne abbiamo bisogno. Tutto deve essere finanziato e le tasse sono solo una parte, ma una parte importante».
Se niente viene finanziato, o tutto viene finanziato molto meno, allora cominciano i problemi. I servizi pubblici diventano scadenti, le liste d’attesa negli ospedali si allungano, le infrastrutture invecchiano e diventano inutili. E i cittadini perdono fiducia nello Stato e nei sistemi democratici.
«Questa è una delle ragioni per cui dovremmo occuparci e preoccuparci delle disuguaglianze economiche e sociali – conclude Maslennikov -. Perché quando i divari crescono, si rompe la coesione sociale. E cresce chiaramente la disaffezione per la politica. Ci sono maggiori rischi di instabilità, di tenuta democratica o anche di avallo a proposte politiche estremiste, populiste o di derive autoritarie. Assistiamo al prevalere di politiche di tipo identitario che creano divisioni fra gli emarginati, fanno leva su razzismo e sviliscono il patto di cittadinanza e l’unità della nazione».
Insomma, la domanda “Tassare i ricchi, sì o no?” è più attuale che mai. Un interrogativo sul quale le risposte non sono univoche. Ma l’importante – come potrete ascoltare anche nel podcast “La crepa” – è esserne consapevoli, discuterne serenamente e cercare una soluzione. Senza toni da bar.