2 Novembre 2024

La saga di OpenAI continuerà e magari offrirà altri colpi di scena, ma certe illusioni sono ormai cadute. Virtuali, impalpabili, le tecnologie digitali ci regalano grandi progressi ma sono avanzate sul tappeto volante di tre utopie che hanno fatto grossi danni

Sam Altman guida di nuovo l’azienda. I congiurati che l’avevano defenestrato escono di scena (salvo uno). Ingegneri e scienziati di OpenAI, pionieri della nuova frontiera dell’intelligenza artificiale generativa, riprendono l’avventura iniziata con ChatGTP dopo aver rischiato di disperdersi in una diaspora senza precedenti. Il fondatore torna da vincitore: senza di lui OpenAI sarebbe diventata un guscio vuoto. La sua volontà di correre veloce verso l’AGI, un’intelligenza artificiale comparabile con quella umana, e di coinvolgere di più Microsoft, ha prevalso sulle visioni pessimiste dei congiurati che declinavano i loro timori per un uso non etico dell’intelligenza artificiale attraverso le rigidità ideologiche della loro filosofia: l’altruismo efficace.
La saga di OpenAI continuerà e magari offrirà altri colpi di scena, ma certe illusioni sono ormai cadute. Virtuali, impalpabili, le tecnologie digitali ci regalano grandi progressi ma sono avanzate sul tappeto volante di tre utopie che hanno fatto grossi danni: dapprima quella della democrazia internettiana proclamata all’alba del web da John Perry Barlow col suo celebre manifesto: la Dichiarazione di Indipendenza del Cyberspazio (1996). Qualche anno dopo sono arrivati i pentimenti come quello del cofondatore di Twitter Evan Williams: «Credevo che dare più libertà alla gente di scambiare idee e informazioni in rete bastasse di per sé a creare un mondo migliore. Sbagliavo». Poi la seconda utopia: l’idea di Google, Facebook e altri che bastasse diffondere reti sociali e motori di ricerca per renderci esseri umani migliori. Altman è partito da questo fallimento (società passate dalla logica del bene comune a quella del massimo profitto con conseguenti distorsioni e aumento delle diseguaglianze) quando nel 2015 ha dato alla società apripista dell’intelligenza artificiale una struttura filantropica non profit proprio per isolarla dalle tentazioni del turbocapitalismo. Il nuovo board di OpenAI indagherà e dirà se e quanto la società ha tradito i suoi impegni etici, ma è già chiaro dal caos prodotto dalla governance filantropica che la promessa di Altman di sviluppare, senza regole esterne, un’intelligenza artificiale «a beneficio di tutta l’umanità» perché creata da una società senza azionisti e senza profitti, «di proprietà dei cittadini del mondo», è la terza utopia dell’era digitale.

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