SPECIALE  EUROPA
Fonte: La Stampa

Per la cancelliera “occorreranno certamente alcune settimane, fino a quando si potranno prendere le decisioni necessarie. 

E’ un modo per contestare l’automatismo che vorrebbe Juncker o Schulz alla guida della Commissione a Bruxelles.

 

Negli ultimi due giorni si è manifestato un pugno di analisti e osservatori che giurano di credere nel fatto che sarà uno dei due fra il socialista Martin Schulz e il lussemburghese Jean Claude Juncker a prendere il posto di Barroso alla guida della Commissione Ue. Il loro punto di vista è rispettabile e saggio, certo sarebbe bene che lo sforzo di dare una legittimazione elettorale al numero uno dell’esecutivo andasse in porto. Tuttavia la stragrande maggioranza delle voci che si raccolgono a Bruxelles è del parere opposto. Non solo per i motivi britannici delineati venerdì. 

La sensazione complessiva è che i capi di stato e di governo vogliano tenere la partita nelle loro mani.

Ieri lo ha confermato indirettamente la cancelleria tedesca Angela Merkel. Parlando a margine del vertice bilaterale coi francesi, ha detto che “occorreranno certamente alcune settimane, fino a quando si potranno prendere le decisioni necessarie”. I leader governativi faranno di tutto per rispettare il voto degli elettori del 25 maggio, ha affermato,- ma c’è una serie di questioni da chiarire, ha anche precisato. Prima dovrà esser costituito il Parlamento. Solo dopo le elezioni alcuni partiti avranno chiaro con quali gruppi vogliano associarsi. ”Noi abbiamo il compito di dire al Parlamento qual è la direzione nella quale vogliamo andare – ha concluso fra Merkel – e quali sono le aspettative dei capi di governo e di Stato e quali quelle del Parlamento”.

L’intesa a tre siglata da Socialisti/ Democratici, Popolari e Liberali – intesa che ha fatto ribollire lecitamente le altre forze – prevede che “il vincitore prende tutto”, proprio come cantavano gli Abba. La loro idea è che dopo il voto si veda qual è il primo partito e si metta il suo candidato a palazzo Berlaymont. Le settimane indicate dalla Merkel portano al vertice di giugno e lasciano immaginare il rifiuto di automatismi. E il solo mettere in dubbio il calendario crea le premesse per discutere anche l’approccio dei gruppi politici e i margini per i loro candidati.

Se davvero sostenesse Juncker, come il lussemburghese è costretto a ripetere, direbbe qualcosa del tipo “se il Ppe sarà il primo partito, rispetteremo la volontà del nostro congresso e degli elettori,  proponedo al parlamento il nostro candidato politico”. Invece, no.

Un osservatore che conosce bene le cose tedesche fa notare che anche fra i banchi della CDU i deputati, euro e no, stanno cominciando a far circolare l’idea che, in fondo, i candidati di partiti non sono poi da incoronare obbligatoriamente. Come se preparassero il terreno a un cambio di cavallo.

“Sarebbero guai”, dice una fonte dell’Europarlamento. E’ vero. Ma la vocazione dell’Europa di rappattumare in qualche modo i dissidi è da sempre sia una forza e che una debolezza.

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