Mario Draghi

«Abbiamo bisogno di un’Unione europea che sia adatta al mondo di oggi e di domani», ha detto l’ex presidente del Consiglio italiano e della Banca centrale europea Mario Draghi

A qualche settimana dalla presentazione del suo rapporto sul futuro della competitività europea, l’ex presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi si è detto favorevole a perseguire specifiche cooperazioni rafforzate nei settori nei quali l’integrazione latita. Appoggiando nei fatti la posizione francese, l’economista ha citato espressamente l’unione dei mercati dei capitali, strumento ormai ritenuto prioritario per raccogliere denaro fresco.

Le linee guida
In un discorso martedì 16 aprile durante una conferenza di due giorni tutta dedicata all’Europa sociale che si sta svolgendo a La Hulpe, un sobborgo residenziale della capitale belga, l’ex banchiere centrale ha tratteggiato a grandi linee l’attesa relazione che dovrebbe essere pubblicata dopo le elezioni europee di inizio giugno. La premessa è molto politica: il mondo è cambiato; le vecchie regole sono ignorate, se non violate; si sono moltiplicati i casi di concorrenza sleale tra paesi.
«Il nostro processo decisionale e i nostri metodi di finanziamento sono stati concepiti per il “mondo di ieri” – ossia pre-Covid, pre-Ucraina, pre-scoppio della crisi in Medio Oriente, prima del ritorno della rivalità tra le grandi potenze – spiega Mario Draghi -. Abbiamo bisogno di un’Unione europea che sia adatta al mondo di oggi e di domani. Di conseguenza, nella relazione che il presidente della Commissione europea mi ha chiesto di preparare proporrò un cambiamento radicale, perché è ciò che serve».

Tre filoni da seguire per Bruxelles
Nel suo discorso, l’ex presidente della Bce individua quindi tre filoni sui quali l’Europa deve impegnarsi urgentemente: l’uso il più efficace possibile delle economie di scala a livello continentale (superando la frammentazione del mercato in alcuni campi, come quello delle telecomunicazioni); l’urgenza di fornire e finanziare beni pubblici europei; e l’importanza di garantire il rifornimento di risorse indispensabili (non solo materie prime, ma anche manodopera).
«Questi tre filoni – spiega l’ex banchiere – ci devono indurre a riflettere su come organizzarci, su cosa vogliamo fare insieme e su cosa mantenere a livello nazionale (…) Per garantire la coerenza tra i diversi strumenti politici, dovremmo sviluppare un nuovo strumento strategico per il coordinamento delle politiche economiche. Se ciò non fosse possibile, in casi specifici, dovremmo essere pronti a considerare la possibilità di procedere con un sottoinsieme di Stati membri».
Riferendosi al meccanismo detto del “28mo regime”, che non prevede l’armonizzazione normativa tra i paesi ma la nascita di un regime legale parallelo, Mario Draghi ha citato il caso dell’unione dei mercati di capitale, un argomento tedioso, sul tavolo europeo da anni perché bloccato da interessi nazionali contrastanti. A Gent, in febbraio, il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire aveva esortato ad agire rapidamente su questo fronte, anche perseguendo collaborazioni nazionali.
Il meccanismo detto del “28mo regime” permetterebbe di aggirare l’opposizione a una armonizzazione tout court delle regole. Nei fatti offre alle parti contraenti la possibilità di scegliere tra due sistemi di diritto contrattuale. In passato, il meccanismo è stato utilizzato per mettere a punto lo statuto di Societas Europæa, o società europea. Era stato fatto proprio da un ex premier italiano, Mario Monti , nel suo rapporto sul mercato unico del 2010.

Stop alla frammentazione del mercato unico
Si calcola che vi sia un monte risparmio in Europa di 33 mila miliardi di euro, e che ogni anno 300 miliardi siano investiti all’estero, in particolare gli Stati Uniti. La frammentazione del mercato unico non è più giustificabile. È diventata nei fatti un ostacolo alla crescita. Sul fronte dell’unione dei mercati di capitale, l’Italia è sullo stesso fronte della Francia. Freddi sono paesi piccoli che del loro centro finanziario hanno fatto una ragion d’essere: il Lussemburgo, ma anche l’Irlanda e i Paesi Bassi.
Mentre questi paesi temono un aumento dei costi e una loro eventuale marginalizzazione, la Germania appare in mezzo al guado. Per anni Berlino è stata fredda all’idea di creare una unione finanziaria, probabilmente per inconfessabili interessi localistici, oggi il cancelliere Olaf Scholz sembra essersi ricreduto (almeno così è sembrato in occasione del vertice europeo di marzo). Si tratta ora per lui di convincere il suo ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner.
«I nostri rivali ci stanno superando perché possono agire come un unico paese con un’unica strategia e allineare tutti gli strumenti e le politiche necessarie – ha concluso Mario Draghi a La Hulpe -. Se vogliamo essere alla loro altezza, avremo bisogno di un partenariato rinnovato tra gli Stati membri, una ridefinizione della nostra Unione che non sia meno ambiziosa di quella che i Padri Fondatori fecero 70 anni fa con la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio».

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