Si confrontano una visione popolare e moderata e una progressista: gli elettori avranno perciò concrete possibilità di scelta andando a votare l’8 e il 9 giugno

Dopo tre dibattiti fra i «candidati di punta» (l’ultimo giovedì scorso nel Parlamento di Bruxelles) è ora chiaro quali siano le divisioni di fondo fra i partiti europei. Le ha riassunte con grande efficacia Ursula von der Leyen: essere a favore o contro l’Europa, a favore o contro l’Ucraina e la Nato; a favore o contro lo stato di diritto. Per la presidente della Commissione si tratta di tre linee rosse che delimiteranno il perimetro della futura maggioranza. Un punto su cui concordano anche i socialisti, i verdi e i liberali. Chi resta fuori?
La sinistra radicale, innanzitutto, per le sue convinzioni pacifiste, la sua opposizione alla Nato e al sostegno militare all’Ucraina. A destra le cose sono più sfumate. Tutti i leader hanno confermato il «cordone sanitario» nei confronti di Identità e Democrazia, il partito dei sovranisti. Niente alleanze dunque per Salvini, Wilders e Le Pen. Per quanto riguarda il partito dei Conservatori e riformisti europei, presieduto da Meloni, è emersa invece una differenza importante. Von der Leyen ha lasciato la porta semi-aperta ad eventuali accordi post-elettorali. Gli altri partiti sono contrari: i socialisti hanno anzi appena firmato un appello pubblico per escludere questa ipotesi.
Von der Leyen ha elogiato il convinto sostegno della nostra premier all’Ucraina e alla Nato. Ha però ammesso divergenze importanti riguardo allo stato di diritto e in particolare alla tutela delle persone Lgbtq+.
Il punto dolente è la posizione ambigua del governo italiano nei confronti di quei governi (in primis quello ungherese, ma non è l’unico) che hanno introdotto forme di discriminazione basate sull’orientamento sessuale, incompatibili con il diritto Ue. Nello stringato programma elettorale dei conservatori europei si insiste molto sulla difesa delle tradizioni e dei valori di ciascuna nazione, ma si glissa sul tema delle garanzie liberali, che sono il pilastro fondante del costituzionalismo moderno. È vero che il programma di Fratelli d’Italia parla di libertà, eguaglianza e diritti. Ma nel Parlamento europeo le linee rosse riguardano i principi di base dell’Unione, che devono valere in Italia come in Polonia, Ungheria o Slovacchia.
Nel profilo dei conservatori vi è poi un elemento più generale di ambivalenza. Per popolari, socialisti, liberali e verdi essere a favore della Ue significa non solo accettare i suoi attuali assetti istituzionali, ma anche rafforzarli in alcuni settori, a cominciare dalla politica di difesa e sicurezza. Come Identità e Democrazia, il partito dei conservatori europei (Fratelli d’Italia compresi) propone invece di trasformare la Ue in una semplice «confederazione». Orientamento legittimo, naturalmente, ma opposto rispetto a quello degli altri quattro partiti. Che cosa hanno in mente, di preciso, i conservatori? Non credo pensino alla Confederazione elvetica (che in realtà è uno Stato federale). Forse una specie di Onu su scala ridotta? Su un punto così importante non si può sorvolare.
Non ha certo giovato a fare chiarezza il grande evento organizzato recentemente da Vox, che ha riunito a Madrid un parterre di conservatori e sovranisti, compresa Le Pen, Orbán, l’argentino Milei e molti consiglieri di Trump. Fra i documenti circolati al convegno, ce n’era uno che proponeva di modificare i Trattati e lasciare a Bruxelles solo le competenze esclusive (dazi, concorrenza e poco altro), «rimpatriando» tutte le altre. Una simile rivoluzione ridurrebbe la Ue a un semplice Zollverein, una unione doganale. Ammettiamo pure che si sia trattato di un ballon d’essai. Ma teniamo presente che il programma ufficiale dei conservatori europei propone di mantenere la difesa come prerogativa nazionale. Una posizione che stride in modo evidente con l’idea di trasformare l’Europa da gigante burocratico in gigante politico nella nuova scena mondiale. Mantenendo il voto all’unanimità e senza una credibile deterrenza comune, si tratterebbe infatti di un fragile gigante dai piedi d’argilla. Un’Europa più debole è ciò che ha sempre voluto Marine Le Pen, la quale ora auspica una alleanza con Meloni (che a sua volta non l’ha esclusa). Sulla prima e più fondamentale linea rossa (essere a favore dell’Europa) le credenziali dei conservatori lasciano molto a desiderare.
Vi sono, com’è naturale, divisioni importanti anche fra i quattro partiti di maggioranza. Verdi e socialisti insistono sulla transizione green, accompagnata però da robuste forme di compensazione per chi subisce i maggiori costi. Insieme ai liberali, vorrebbero poi una Ue che finanzi tramite eurobond nuovi investimenti pubblici. I popolari sono invece disponibili ad annacquare i vincoli del Green Deal e non vogliono sentir parlare di eurobond. È forse la prima volta che si confrontano due distinte visioni sull’Europa: una popolare e moderata e una progressista, che potremmo definire lib-lab-green. Gli elettori avranno perciò concrete possibilità di scelta. La posta in gioco è alta, per questo è importante partecipare. Pensando, per una volta, più ai problemi di Bruxelles che alle controversie nazionali.

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