Difatti il divieto di ingresso nel Parlamento europeo dei lobbisti di Amazon: dal 2021 Jeff Bezos e i suoi si rifiutano di presentarsi al tavolo per parlare in particolare delle reali condizioni di lavoro nei magazzini

In inglese «to ban» rende meglio l’idea, forse perché lo usiamo informalmente in una improbabile traduzione italiana, bannare, per indicare la fine definitiva di qualunque dialogo e comunicazione sociale. Difatti il divieto di ingresso dei lobbisti di Amazon nel Parlamento europeo, emerso in queste ore, non è un atto comune. Prima di ora era stato usato soltanto con la Monsanto. Difficile non mettere in relazione la notizia con le prossime elezioni del Parlamento europeo: è la prima volta che la Ue alza sul serio i toni. D’altra parte è almeno dal 2021 che Jeff Bezos e i suoi si rifiutano di presentarsi al tavolo europeo per parlare in particolare delle reali condizioni di lavoro in Amazon, le stesse descritte in un film meraviglioso come Nomadland, con Frances McDormand, vincitore di 3 premi Oscar.
L’Europa si trova a un bivio: mentre Usa e Cina pensano solo alla crescita il Vecchio Continente rimane il perno dei diritti. Un curioso destino se si pensa che per secoli proprio l’Europa ha avuto le maggiori responsabilità sulla schiavitù e gli sfruttamenti per favorire la propria crescita. Sono molti gli osservatori secondo cui, soprattutto in campo tecnologico, dobbiamo occuparci anche di creare una nuova occupazione. Non possiamo rimanere solo arbitri. Ma forse proprio per la nostra lunga storia siamo propensi a rimanere i più prudenti. O forse i più saggi. Dunque: più crescita va bene. Ma anche che tipo di crescita.

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