Dal partenariato strategico con l’Egitto una svolta per facilitare l’ingresso regolare in Europa di stranieri qualificati

Il partenariato strategico con l’Egitto, avviato con il recente viaggio al Cairo di Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen e tre altri primi ministri Ue, è stato criticato per due motivi. L’Egitto è un Paese autoritario che non rispetta i diritti umani; i fondi che la Ue trasferirà saranno principalmente destinati a bloccare le partenze di migranti, minacciando la loro sicurezza. Le preoccupazioni sono fondate, ma il partenariato contiene molti altri progetti, fra cui misure volte a facilitare l’ingresso regolare in Europa di giovani qualificati. Può sembrare una iniziativa di poco conto, o addirittura una foglia di fico. Ma se ben finanziata e organizzata, la «mobilità internazionale dei talenti» aiuterebbe l’economia egiziana e contribuirebbe a risolvere la sfida demografica dell’Europa. Per sostenere economicamente l’invecchiamento della popolazione, i Paesi Ue hanno bisogno di più crescita e innovazione. Senza un rapido incremento delle competenze dei giovani (in particolare nelle discipline Stem), questo obiettivo risulta difficilmente raggiungibile. In diversi Paesi Ue e in molte regioni al loro interno il «bacino dei talenti» è attualmente sottodimensionato. La quota di laureati nella classe di età 25-34 è pari al 41% in media Ue, solo il 21% in Italia. Un numero già oggi insufficiente per riempire i posti di lavoro nei settori dell’economia verde, di quella digitale e di quella «bianca» (servizi socio-sanitari).
L’incremento del tasso di laureati è un imperativo, ma il declino della natalità sta riducendo la platea di giovani. In Italia nel 2022 sono nati meno di 400 mila bambini, con un calo del 25% rispetto al 2012. Anche se, grazie a investimenti e incentivi, i nuovi nati si laureassero tutti (cosa ben poco probabile), fra una trentina d’anni il capitale umano disponibile non sarebbe comunque sufficiente. Occorre perciò mettere a punto una seconda e complementare strategia: attrarre talenti dai Paesi Terzi, favorendo l’immigrazione di giovani qualificati.
È qui che entrano in gioco i partenariati strategici. La Commissione vuole creare una piattaforma Ue per facilitare l’incontro fra domanda di talenti delle imprese europee e l’offerta disponibile nei Paesi partner (e altri). Il fulcro dell’iniziativa sarebbe la semplificazione delle assunzioni internazionali e delle procedure di riconoscimento delle credenziali educative e professionali. Quella della certificazione è in effetti una sfida enorme. L’iter amministrativo è complesso, con tempi molto lunghi e esiti incerti, soprattutto per le professioni regolamentate. Durante la pandemia Covid, questi problemi sono emersi con particolare chiarezza e intensità per quanto riguarda le professioni sanitarie. Eurostat stima che oltre un quarto dei residenti extra-comunitari sia già altamente qualificati, ma quasi la metà svolge mansioni di livello molto inferiore: un enorme spreco di cervelli.
La piattaforma ha proprio il fine di definire procedure di accertamento e convalida armonizzate, facilitate e digitalizzate (anche per professioni regolamentate); estendere la «carta blu» per laureati, rafforzando il pacchetto di benefici cui essa dà diritto; promuovere il coinvolgimento delle delegazioni Ue all’estero. Per l’Italia il vantaggio sarebbe enorme. I migranti extra-Ue che chiedono il riconoscimento delle credenziali devono oggi affrontare un percorso a ostacoli che svolge forti effetti dissuasivi.
I Paesi africani (a cominciare da quelli mediterranei) hanno abbondanza di giovani, ma sistemi educativi ancora poco sviluppati. Per evitare che la mobilità dei loro talenti verso la Ue sottragga risorse preziose, i partenariati dovrebbero prevedere almeno due contromisure, in parte già contemplate. Innanzitutto, forme di assistenza tecnica e finanziaria per espandere e migliorare scuola e istruzione superiore in loco. In secondo luogo, nuove forme di migrazione «circolare». I giovani qualificati egiziani, ad esempio, potrebbero essere incentivati a tornare nel proprio Paese dopo un certo periodo, tramite congedi o distacchi di durata predefinita e comunque senza perdere il diritto di tornare eventualmente in Europa.
I circoli virtuosi sono più facili a dirsi che a farsi. Dubbi e critiche sono sempre legittime e spesso utili. Ciò che non serve è però «gridare al lupo», come molti hanno fatto negli ultimi dieci giorni. Egitto e Tunisia hanno governi repressivi e regimi illiberali, nessuno può negarlo. Però sappiamo che le autocrazie prosperano laddove c’è molta povertà e poca classe media. Gli aiuti allo sviluppo servono anche per erodere il terreno che sorregge i leader autoritari. Dal canto suo, è vero che la Ue non può limitarsi a mettere dei «tappi» in Africa contro l’immigrazione clandestina, rinunciando ai propri doveri umanitari. Ma ciò non vieta che possa facilitare gli accessi di certe categorie.
I partenariati devono navigare fra Scilla e Cariddi, tenendosi lontani dalla logica delle connivenze con i dittatori e dei respingimenti forzosi. Se gestite con un pragmatismo orientato alla reciprocità e rispettoso della dignità, queste iniziative possono tuttavia produrre giochi a somma positiva e meritano dunque fiducia e sostegno.

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