POLITICA
Fonte: La Stampa
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Scoppia il caos. I grillini: «Così i mafiosi ringraziano»

Dopo anni di «gestazione», quattro «letture» tra Camera e Senato, e a meno di due mesi dalle Europee, il Parlamento non riesce a dare il via libera al provvedimento che ridisegna il reato di voto di scambio tra politici e mafiosi.

 

L’esame degli emendamenti e del testo, fissato per oggi, slitta a martedì prossimo per la protesta dei senatori M5S che contestano il ddl nella nuova versione licenziata dalla Camera il 3 aprile scorso. Una protesta che rallenta i lavori e che scatena nell’emiciclo di Palazzo Madama la guerra a chi è «più antimafia dell’altro». Tra insulti, saluti romani e accuse bipartisan di «fascismo». Con tanto di tweet finale di Grillo che chiede a Renzi: «Stai con la mafia o con chi la combatte?».

 

A rendere furiosi i pentastellati è l’accordo di maggioranza raggiunto alla Camera che consente lo «stravolgimento» del testo votato dal Senato, «subito dopo gli incontri avvenuti tra Napolitano e Berlusconi e tra Renzi e Verdini». Come sottolinea con forza il vicepresidente di Montecitorio, Luigi Di Maio che vede peraltro «inquietanti analogie» tra quanto sta avvenendo ora e «il periodo in cui si realizzò la trattativa Stato Mafia». «Non è possibile – incalza il neocapogruppo di Palazzo Madama, Maurizio Buccarella – che si siano addirittura ridotte le pene del reato passando dalla forbice 7-12 anni a quella 4-10». «Con la pena minima a 4 anni – osserva – non sarà nemmeno possibile arrestare il politico incensurato che va a chiedere voti alla mafia! E questo per noi è inaccettabile». Per non parlare poi, insiste Mario Michele Giarrusso, del fatto che sia stata tolta anche la parte relativa alla «messa a disposizione» del politico in cambio dei voti mafiosi che, secondo i 5 Stelle, estendeva non poco i confini di una condotta sinora «limitata al solo scambio di denaro». «Al Senato – ricorda infine Buccarella – noi avevamo rafforzato il concetto di «altra utilità» con l’avverbio «qualsiasi» che invece è stato tolto a Montecitorio, ma che è presente nel codice penale nella norma che punisce lo straniero che corrompe il cittadino italiano (art.246)».

 

Il Pd reagisce e respinge al mittente ogni accusa, ricordando, come fa il presidente della commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti, che sono stati i magistrati antimafia a definire, quella licenziata a Montecitorio, la «norma perfetta». «Ed è inspiegabile – afferma il presidente della commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama, Anna Finocchiaro – l’atteggiamento dei 5 Stelle» anche perché così si ritarda l’entrata in vigore del testo che invece si sarebbe dovuto trasformare in legge prima delle elezioni del 25/5.

E a difendere il testo è anche il capogruppo Dem al Senato Luigi Zanda che ammette come sia stato il Pd, insieme ai presidenti degli altri gruppi di maggioranza Sacconi e Romani, a chiedere che in Aula scattasse la «ghigliottina» per accorciare i tempi del dibattito e arrivare al voto finale entro oggi. Un’ accelerazione che in realtà serve a poco visto che la bagarre scatenata dai 5 Stelle impedisce che si arrivi al voto finale entro oggi. Anche per il clima che si crea in Aula tra cori scanditi dai grillini di «Fuori la mafia dallo Stato!» e accuse di fascismo mosse ai 5Stelle da Vincenzo D’Anna (Gal) con tanto di saluto romano sotto i banchi «avversari». E scalda gli animi anche la «gara» ingaggiata da Giarrusso e Nitto Palma tra chi è più «antimafia» dell’altro. «Voi dove eravate – chiede il presidente della commissione Giustizia del Senato – mentre io mettevo in piedi il processo contro la «pizza connection?». «Io ero tra le strade piene del sangue di chi combatteva la mafia», ribatte Giarrusso. Tensione alle stelle insomma che alla fine porta Linda Lanzillotta prima a sospendere la seduta e poi a rinviare il voto a martedì. Così, commenta Buccarella, «avremo 4 giorni di tempo per spiegare agli italiani i rischi che corrono con questo ddl».

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