SPECIALE ELEZIONI EUROPEE

Fonte: La Stampa

Sfida finale tra piazze e tv per i leader dei partiti. Domenica si vota, Grillo spera

ROMA

«Se non mi fanno fare le riforme allora si che è fallito il mio progetto e vado a casa». A tre giorni dalle elezioni per l’Europarlamento Matteo Renzi torna sulle possibili ripercussioni del voto sul governo. «i sondaggi sono ottimi, ma anche se il Pd erestasse sotto il 30% io non mi dimetto», ripete il premier.

 

Nel mirino del capo del governo, intervenuto a “Radio Anch’io”, c’è ancora Beppe Grillo: «Chi urla è il più grande alleato di di chi frena le riforme, ma tanti cittadini, anche quelli che non votavano Pd ora lo voteranno perché credono in questo tentativo di cambiamento. Ne sono sicuro». Renzi torna anche sulle tensioni dei mercati: «È naturale che quando c’è una prospettiva di sviluppo i mercati mandino sotto lo spread: ora gli operatori leggono i giornali, ma io non credo ai burattinai».

 

Silvio Berlusconi prosegue intanto la sua personalissima offensiva mediatica. «È un governo largamente inadeguato e quando qualcuno lo ha definito di dilettanti allo sbaraglio ho convenuto», dice il leader di Fi intervenuto di prima mattina a “Omnibus”. Il leader di Forza Italia era partito dando per sicura Forza Italia al 25 per cento, successivamente era calato al 20, ora non disdegnerebbe un 18-19. Poi lancia un vero e proprio appello agli elettori: «Devo chiedere una cosa: a chi scegliereste di affidare i risparmi? A chi ha fatto solo politica come Renzi, a Grillo che faceva ridere e ora fa paura o a Berlusconi che ha una storia di imprenditore e che da uomo di Stato ha governato per nove anni senza mai aumentare le tasse? Lascio a voi la risposta». Poi l’affondo contro il capo del M5S: Grillo parla «a quegli italiani moderati che non si sono rassegnati. È grave cadere nell’errore di credere che il M5S possa migliorare la situazione. Grillo parla solo di distruzione». Berlusconi guarda anche a Bruxelles: «Con Junker non ci sono contrasti. Ho solo delle perplessità personali».

 

Intanto dopo le tensioni sullo spread i protagonisti della campagna elettorale sono diventate più prudenti nei pronostici. Casaleggio, ad esempio, confida a Travaglio che gli basterebbe un voto in più del 26 per cento conquistato dal M5S nel 2013. Renzi non fissa asticelle. «I dati delle ultime ore sono straordinariamente incoraggianti», infonde fiducia ai suoi. Però ospite dalla Gruber mette le mani avanti, «se vince Grillo non mi dimetto, decide il Parlamento». Gli basterebbe anche meno del 30, così assicura, a patto di avere «il gruppo più numeroso nel Parlamento europeo», visto in fondo che di Europa si tratta. Tutti discorsi inevitabilmente viziati dalla propaganda. Il premier sa che non gli basterebbe vincere per un pelo: se vorrà evitare fibrillazioni, deve tenere Grillo a debita distanza, altrimenti nel Pd comincerebbero subito a rimproverargli di non essere l’antidoto giusto al populismo, contro cui Napolitano ha messo ieri in guardia dalla Svizzera (Marchionne totalmente d’accordo con lui). Stesso discorso per i Cinque Stelle. Il loro vero obiettivo è, quantomeno, mettersi sulla scia del Pd, in modo da tentare il sorpasso al prossimo rettilineo.

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