Gli smartphone e i giovani: siamo di fronte a scelte epocali. Abbiamo bisogno di costruire un’alleanza educativa che metta insieme tutti gli attori in gioco: genitori, ragazzi, scuola, educatori, docenti, psicologi, politici, forze dell’ordine, legislatori. Nessuno può chiamarsi fuori da questa responsabilità condivisa
In questi mesi, per motivi personali — sono padre di cinque figli — e per ragioni professionali — dirigo una fondazione che si occupa di giovani ed educazione — sto approfondendo con attenzione il tema dell’uso degli smartphone e dei social network da parte degli adolescenti. Nell’ambito del lavoro con la fondazione, in particolare, abbiamo incontrato più volte gruppi di giovani per cercare di capire il loro punto di vista, la loro opinione. Per ascoltare prima di dare soluzioni. Nell’incontrarli mi sarei aspettato da parte dei più giovani una difesa della libertà di uso degli smartphone, della loro autonomia e indipendenza da limiti e vincoli. Mi ha colpito molto, invece, notare che fossero proprio i ragazzi a chiedere regole. Alcuni ammettevano con sincerità di avere l’impressione di non riuscire a fare a meno delle tecnologie, che lo smartphone fosse diventato una specie di protesi emotiva e sociale delle loro vite. In alcuni casi erano loro stessi a suggerire l’utilità di porre limiti, dei divieti, vincoli che consentano loro di recuperare spazi di libertà.
Non voglio dare a questi incontri un valore paradigmatico ma mi sembra importante raccontarli per avviare un confronto non ideologico. Del resto i numeri che emergono dai più recenti studi accademici sono preoccupanti. Una ricerca condotta dall’Università Cattolica di Milano, promossa dal Ministero delle Imprese, rileva che il 94% dei minori tra gli 8 e i 16 anni utilizza uno smartphone, e oltre il 70% dei più piccoli (8–10 anni) accede regolarmente ai social. E lo studio «Eyes up» dell’Università Bicocca — analizzando oltre 6.600 studenti — mostra che chi apre un profilo social in prima media ottiene punteggi significativamente più bassi nei test Invalsi rispetto a chi attende i 14 anni.
Questo non significa che dobbiamo ricercare soluzioni semplici o ideologiche. Spesso quando si parla di tecnologie — ma non solo — sembriamo condannati a dividerci in due schieramenti inconciliabili: o tutto bianco, o tutto nero. Ma la realtà, soprattutto quando riguarda la crescita dei nostri ragazzi, è complessa. E richiede risposte complesse.
Oggi, nel dibattito sull’uso degli smartphone da parte dei giovani, si fronteggiano due posizioni nette. Da un lato c’è chi sostiene che non si debba vietare nulla, ma solo educare. Dall’altro, chi propone divieti più rigidi, come quello di proibire l’uso degli smartphone sotto una certa età. Come spesso accade entrambe le posizioni contengono elementi di verità. Ed entrambe, se portate all’estremo, rischiano di essere parziali e inefficaci.
La sfida che stiamo vivendo è epocale. Non riguarda solo la tecnologia, ma il modo in cui costruiremo il futuro della nostra società, a partire dalle nuove generazioni. Per questo è fondamentale remare tutti nella stessa direzione, evitando di dividerci inutilmente in fazioni. Abbiamo bisogno di costruire un’alleanza educativa che metta insieme tutti gli attori in gioco: genitori, ragazzi, scuola, educatori, docenti, psicologi, politici, forze dell’ordine, legislatori. Nessuno può chiamarsi fuori da questa responsabilità condivisa.
Il punto è che vietare non è il contrario di educare: fa parte dell’educare. Dire dei no, quando sono motivati e coerenti, è un atto di responsabilità e di amore. Senza limiti, anche l’educazione più ispirata rischia di diventare retorica. Un divieto può essere l’inizio di un dialogo e di una crescita consapevole.
Educare è fondamentale, ma educare significa anche — a volte — saper dire dei no. Vietare qualcosa, se fatto con amore, consapevolezza e buon senso, può essere una forma alta di educazione. Al tempo stesso, servono regole chiare, condivise, che aiutino le famiglie a non sentirsi sole in questa sfida. La vera questione non è decidere se vietare o educare, ma come combinare in modo intelligente queste due dimensioni. Una proposta concreta? Costruire un cammino educativo che porti i ragazzi, magari insieme alla scuola, a «conquistarsi» lo smartphone attraverso un percorso mirato alla consapevolezza digitale. Un viaggio formativo progressivo, serio, accompagnato da adulti competenti e coinvolti. Un passaggio educativo che riconosca il valore e la complessità dell’uso di uno strumento potente come lo smartphone e prepari i ragazzi a gestirlo con maturità.
È una soluzione che ha senso perché la sfida dell’educazione digitale non si può affrontare in solitudine, né lasciando che se ne occupino solo le famiglie o solo gli insegnanti. È una battaglia di civiltà che richiede uno sforzo corale: genitori, scuole, associazioni, politica, istituzioni, medici, psicologi, influencer, grandi aziende. Nessuno può chiamarsi fuori.
Perché in gioco non c’è solo il futuro dei nostri figli, ma anche il presente del nostro Paese. Non possiamo permetterci una generazione che si rimbambisce scrollando uno schermo o che si «sballa» di dopamina anziché coltivare emozioni vere, relazioni vere, vita vera. Abbiamo bisogno di ragazzi capaci di abitare la realtà, non di rifugiarsi in una finzione digitale. Ragazzi che sappiano desiderare, scegliere, amare. Non perché obbligati, ma perché attratti da qualcosa di grande. Abbiamo bisogno di giovani capaci di vivere con intensità e pienezza. Non solo per loro. Anche per noi.
