Biden Trump

Nei nove mesi che ci separano dal voto molti fattori — i processi di Trump, le guerre, l’immigrazione, l’economia e anche la salute dei due candidati che si propongono come presidenti ottuagenari — possono alterare in modo profondo il quadro attuale

Donald Trump festeggia un’altra vittoria schiacciante tra gli elettori repubblicani circondato dagli ex rivali Tim Scott e Vivek Ramaswamy osannanti nei pochi secondi che concede loro sul podio. E spara a zero sulla «impostora» Nikki Halley che parla come se avesse vinto. Festeggia anche Joe Biden convinto, a dispetto dei sondaggi negativi, di poter battere l’ex presidente: il materializzarsi dello spettro di un Trump 2 dovrebbe spingere tanti che oggi lo criticano e gli negano il voto, a cambiare registro. E il New Hampshire ha detto che Trump ha un controllo totale sul suo partito, ma piace poco agli elettori indipendenti. Biden mette, poi, fine (per ora) alle ipotesi di un suo possibile ritiro alla vigilia dell’incoronazione democratica (la convention di agosto a Chicago), mandando i suoi più importanti collaboratori alla Casa Bianca a gestire la campagna elettorale.
Festeggia, a suo modo, anche Wall Street: non sa chi vincerà a novembre (da un sondaggio informale tra gli uomini d’affari Usa presenti a Davos viene fuori, addirittura, un ipotetico ticket alternativo Newsom-Raimondo), ma si sta convincendo che, con l’inflazione domata, il costo del denaro in discesa e i rischi di recessione sempre più remoti, l’economia andrà bene tanto con Trump quanto con Biden. Ammonisce Edward Luce dalle colonne del Financial Times: attenti, «questo giornale nel 1933 scrisse solo cose positive su Benito Mussolini presentando il fascismo come un nuovo Rinascimento fatto di ordine e progresso».
La campagna elettorale Usa è ancora lunghissima. Nei nove mesi che ci separano dal voto molti fattori — i processi di Trump, le guerre, l’immigrazione, l’economia e anche la salute dei due candidati che si propongono come presidenti ottuagenari — possono alterare in modo profondo il quadro attuale. Al momento, però, l’ipotesi di un rematch Biden-Trump si rafforza: il New Hampshire non ha chiuso la partita repubblicana perché Nikki Haley ha deciso di continuare a combattere sperando che, usciti di scena tutti gli altri candidati, lo scontro uno contro uno con The Donald (il quale fin qui ha sempre evitato il confronto televisivo diretto) possa imprimere una svolta alla sua campagna elettorale.
Ma il New Hampshire ha anche detto che se Nikki Haley ha dalla sua gli indipendenti, gli elettori repubblicani stanno con Trump in modo ancor più massiccio rispetto all’Iowa. Le prossime tappe prevedono vittorie dell’ex presidente in Nevada (dove la Haley non è nemmeno candidata e Trump, dopo il ritiro di Ron DeSantis, avrà come unico avversario il pastore-finanziere Ryan Binkley che ha ottenuto 700 voti in Iowa e meno di 300 in New Hampshire). Trump vincerà anche in South Carolina. Nikki lì è stata governatrice ma da allora lo Stato è molto cambiato: con gli evangelici al 70 per cento e Trump che si è assicurato l’appoggio di tutti i leader politici locali, per lei recuperare i 30 punti di scarto che ha nei sondaggi è pressoché impossibile. Potrebbe far meglio in alcuni dei 14 Stati che voteranno nel «Super Tuesday» del 5 marzo, ma il partito repubblicano in molte parti del Paese si è dato regole miranti a chiudere prima possibile la competizione elettorale: così in molti Stati chi vince con più del 50 per cento dei voti prende tutti i delegati che sceglieranno il candidato presidente. E la Haley rischia di raccogliere solo le briciole.
Ma non si ritira convinta che restare in corsa potrebbe risultare utile qualora dovesse accadere quello che oggi appare assai improbabile: la Corte suprema che dichiara Trump ineleggibile ratificando la decisione del Colorado o una condanna severa in uno dei quattro processi penali che attendono l’ex presidente (solo in un caso si dovrebbe arrivare alla sentenza prima delle elezioni). Un pronunciamento tale da far pensare ai repubblicani che è troppo pericoloso andare al voto con un candidato che una giuria popolare ha deciso di incarcerare.
Ipotesi talmente improbabili da far apparire più verosimile un altro scenario che oggi sembrerebbe da escludere: Trump, — per indole sempre pronto ad abbracciare posizioni e candidati estremi, anche per galvanizzare la sua base — che per una volta inghiotte il rospo e sceglie la Haley come vice comprendendo che lei può portargli gli elettori indipendenti indispensabili per prevalere su Biden. In una battaglia che, comunque, verrà decisa da pochi Stati e da differenze di poche migliaia di voti.
Sull’altro fronte Biden, consapevole delle sue debolezze e spronato da un allarmatissimo Barack Obama, cambia marcia: manda la vice capo di gabinetto della Casa Bianca Jennifer O’Malley Dillon e il suo consigliere storico Mike Donilon a Wilmington a dirigere una campagna elettorale fin qui poco efficace, mentre martedì sera ha ostentato un insolito vigore in un comizio in Virginia centrato sul pericolo per la democrazia rappresentato da Trump e sui diritti delle donne minacciati dalle leggi di molti Stati che vietano l’aborto.
Il presidente rimane convinto che l’incoronazione repubblicana di Trump darà la scossa anche ai democratici che hanno preso le distanze da lui e agli indipendenti. Molti democratici rimangono, invece, scettici e continuano a immaginare scenari alternativi (come l’accoppiata tra il governatore della California Gavin Newsom e la ministra del Commercio, Gina Raimondo) aspettando di vedere se il cambiamento di umore degli elettori atteso da Biden verrà confermato dai sondaggi dei prossimi mesi.

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